Attraversare la nostra bella penisola viaggiando in treno è certamente, per un architetto, un’esperienza conoscitiva e formante che lascia scaturire pensieri, associazioni di idee, ricordi universitari e di vita professionale oltre che produrre visioni di tipo urbanistico, architettonico, estetico, foriere di una miriade di percorsi mentali e di tante ipotesi operative per il miglioramento di mille piccole situazioni localizzate.

LIBERO DI GUARDARE IL PAESAGGIO

Libero di guardare il paesaggio senza doversi preoccupare di condurre il mezzo di trasporto, attraverso il finestrino si dipana una lunga teoria di agglomerati costruttivi, cittadine, edifici singoli, strade ed infrastrutture, paesaggi rurali incontaminati (pochi…) e zone così fortemente antropizzate da non riuscire a riconoscere i singoli elementi architettonici né identificare il tanto auspicato “verde” reclamato a gran voce dalla forte richiesta ecologica  popolare, risvegliata negli ultimi anni da maggiori prese di coscienza, da cambiamenti climatici fortemente relazionati all’azione dell’uomo e degli ambienti costruiti, dalla necessità di una vita meglio vissuta nel rapporto con la natura e l’ambiente.

Si possono così notare, soprattutto per un occhio abituato al rapporto dei volumi ed alla loro ubicazione nei luoghi costruiti, situazioni e fabbricazioni che dichiarano chiaramente l’evoluzione dell’urbanistica del dopoguerra, soprattutto là dove essa si compenetri con fabbricati di più antica ed a volte vetusta fattura. Ecco pertanto costruzioni a volte raffazzonate e derivanti da interventi di sovrapposizione, ampliamento, superfetazione, sopraelevazione che vanno magari a comprimersi e confondersi con i resti di un acquedotto romano, ovvero a confondersi se non fondersi con le antiche mura di basiliche paleocristiane. Oppure ville e villette sparse nel territorio come lo spaglio del contadino durante la semina, ove non raccolte numerose in artificiose lottizzazioni che sviliscono costoni e pianori con una clonazione di tipi edilizi tutti uguali a sé stessi. Ma non va meglio dove le ville e villette da uno a tre piani fuori terra coprono vaste porzioni di territorio con tipologie edilizie le più varie, con coperture magari piane in territori montuosi del Nord e con tetti a spiovente pronunciato in assolate zone del Sud…

Per non parlare degli edifici isolati, soprattutto ad uso commerciale o industriale, “atterrati” come astronavi aliene nel bel mezzo di ubertosi territori agricoli, con scelte urbanistiche di collocazione del sito che fanno sorgere più di un dubbio e molte articolate domande. O gli edifici ricettivi, soprattutto gli alberghi delle grandi catene, installati in un panorama architettonico di proporzioni decisamente differenti e rappresentanti un’emergenza di tipo volumetrico, ma anche – giocando sul termine – di tipo paesaggistico. E le infrastrutture? Strade e ponti e viadotti che a volte esaltano, ma più spesso deturpano, il paesaggio agreste e collinare, montano e marino.

Insomma, un atlante vivo e vivido dell’urbanistica e dell’evoluzione dell’antropizzazione dei luoghi che dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso ad oggi ha festosamente cementificato il Paese senza troppo (direi a volte senza alcun) riguardo alle preesistenze, alla storia dei luoghi, agli edifici aulici, al paesaggio ed alle proporzioni, men che meno parlando di senso estetico degli interventi.

GLI ABUSI VISIBILI A OCCHIO NUDO

In tutto questo, i piccoli e grandi abusi visibili ad occhio nudo e costituiti da improbabili verande, tettoie, porticati chiusi, stanze aggiunte come protuberanze ed escrescenze, bassi fabbricati dilatati fino a diventare palazzi, finestre ed aperture di vario genere distribuite a casaccio, impianti tecnologici aggrappati ed incollati a tetti, facciate, elementi strutturali. Dove non c’è abuso conclamato, spesso aleggia il senso dell’incompiuto (va detto, senza distinzioni preconcette in classi e zone: soprattutto dal Lazio verso il profondo Sud): murature non concluse, intonaci assenti, antenne incollate su strutture fatiscenti in cemento armato abitate e vissute quotidianamente, strade non finite e non asfaltate, case con orbite vuote al posto dei serramenti…

NON SAPPIAMO DIFENDERE IL BELLO

Non c’è ovviamente solo questo, fortunatamente, ma c’è molto di questo. E in un Paese dove il paesaggio e l’Architettura, la Storia e l’Arte hanno concorso per secoli e millenni, grazie al talento dell’Uomo che pare derivante dal divino, a creare un unicum in termini artistici e armonici, a rappresentare davvero la Bellezza nella sua più elevata rappresentazione umana, questo deve farci riflettere molto sulla nostra incapacità di difendere adeguatamente un patrimonio storico ed artistico che è dell’umanità, non solo nostro. Non abbiamo il diritto di deturparlo così, e fin che non lo capiremo noi per primi – intendo come fruitori dell’ambiente costruito – non saranno norme e leggi continuamente sovrapposte e stratificate a farcelo comprendere, soprattutto quando la speculazione edilizia e l’affarismo genereranno lucro ed interesse di ben altra entità.

Guardare fuori dal finestrino fa riflettere molto, se si rapporta tutto ciò alle normative che vanno a sezionare il capello in quattro quando si tratta di sanatorie edilizie. Occorre forse ripensare a tutto l’impianto delle norme urbanistiche, cercando di rimediare per quanto possibile ai clamorosi errori ed alla cialtronesca faciloneria degli anni ’60-’80 almeno del secolo scorso. Lavorare per giungere realmente al consumo zero di suolo per l’edificazione (tranne ovviamente in casi specifici di interesse prioritario, più collettivo che singolo) ed al miglioramento dell’edificato pregresso, utilizzando pesantemente lo strumento della demolizione e ricostruzione senza vincolo di sagoma, pensando a sgravi fiscali ad hoc che incentivino a rimuovere veri e propri orrori edificati senza criterio – anche energetico, ovviamente – e migliorare l’aspetto estetico oltre che funzionale di molti dei nostri centri abitati, ma anche del paesaggio rurale e collinare.

LA COSCIENZA COMUNE

Tutto si può, ma prima deve essere creata una coscienza comune in una popolazione che ha completamente dimenticato l’eredità culturale che le deriva dal vivere in un Paese che ha regalato al mondo il Rinascimento, ma anche capolavori immensi dall’epoca barocca fino al Liberty, per giungere al Razionalismo. Poi, la cultura dovrà essere capace di ispirare norme che non siano solo diritto e burocrazia calati dall’alto, ma anche gestione dal basso del territorio (penso all’ “urbanistica tattica”, della quale una città dinamica ed all’avanguardia come Milano offre moltissimi esempi e spunti).

IL RUOLO DELLA POLITICA

Noi costruiamo per vivere (abitare, lavorare, rilassarci…). Non per vivere male. Adoperiamoci tutti affinché i nostri luoghi abitati siano ben vissuti. Richiediamolo a chi ci governa, troppo spesso questo argomento manca da qualunque minimo programma elettorale. Forse perché spesso estraneo proprio alla cultura personale, prima ancora che a quella collettiva.

Paolo Mercuri, architetto del network Resolvo