Intorno alla metà di dicembre dello scorso anno, in Italia si è diffuso un brivido: era stato eliminato l’ultimo ostacolo per estendere l’obbligo di fattura elettronica anche alle imprese e ai professionisti in regime forfettario, che finora ne erano esentati (tranne se dovevano fatturare alla pubblica amministrazione).

Cosa sia la “fattura elettronica” ormai lo sanno tutte le partite IVA italiane: invece che su un foglio di carta tutti i dati che devono essere contenuti nella fattura   (quelli previsti nell’art. 21 della legge IVA, il DPR n. 633/1972) sono contenuti in un file informatico confezionato in un formato standard speciale (XML); invece di essere consegnata o inviata al cliente, questa fattura elettronica viene inviata al Fisco (per la precisione: allo specifico Sistema di Interscambio dell’Agenzia delle Entrate, in sigla SDI) che a sua volta provvederà a trasmetterla al destinatario, il tutto per via telematica e in forma “dematerializzata”.

La fattura elettronica è stata introdotta per la prima volta nel nostro paese con la legge n. 244 del 2007, ma per oltre dieci anni ha riguardato una platea molto limitata: i fornitori della Pubblica Amministrazione.

Il secondo passaggio è stato nel 2019, quando la legge n. 205 del 2017 (poi rinviata di un anno) ha esteso l’obbligo di emettere le fatture in modalità elettronica a tutti i contribuenti (imprese, professionisti, enti vari), con l’espressa eccezione però di quelli in regime forfettario di determinazione del reddito (e di qualche altra categoria specifica, come i professionisti di area medica per le prestazioni verso clienti privati).

Perché esonerare i forfettari? Perché si tratta di una categoria di piccoli contribuenti, che già la legge n. 208 del 2015 aveva esonerato da tutti gli obblighi contabili, tranne l’emissione e conservazione delle fatture.

Perché allora cambiare idea e decidere di costringere anche loro ad attrezzarsi con hardware, software e collegamento Internet? Perché l’introduzione della fattura elettronica si è confermata come uno strumento fondamentale per la riduzione dell’evasione fiscale, consentendo al nostro Grande Fratello di poter controllare in tempo reale tutto lo scambio di fatturazione, il calcolo e il versamento dell’IVA. 

A questa fotografia immediata e generale mancava però una fetta non piccola: quella costituita da circa due milioni di contribuenti in regime forfettario.

L’Agenzia delle Entrate ha così chiesto una norma di legge che allargasse l’obbligo di fattura elettronica anche a loro. Ma prima occorreva ottenere il parere favorevole di un’autorità più alta: l’Unione Europea, perché già l’obbligo di fattura elettronica era un’eccezione alla direttiva europea sull’IVA, eccezione che fra l’altro stava per scadere alla fine del 2021. Intanto che chiedeva una proroga di tre anni, l’Italia ha chiesto anche di poter allargare l’obbligo ai piccoli contribuenti.

Dopo un lungo iter burocratico, il nulla osta del Consiglio UE è arrivato il 13 dicembre 2021 e a quel punto è scattato l’allarme generale, incoraggiato anche dai produttori di software che hanno ovviamente visto con favore l’apertura di una nuova prateria con milioni di potenziali clienti.

Le voci più allarmiste davano anzi per imminente l’entrata in vigore, già dal 1° gennaio 2022,  spingendo le povere vittime ad affrettarsi ed attrezzarsi di corsa. Anzi, le pubblicità dei vari produttori di software o fornitori di servizi telematici hanno cominciato a martellarci già a dicembre.

In realtà quella sarebbe stata una violazione dello Statuto del Contribuente (la legge n. 212 del 2000), che richiede 60 giorni di tempo prima dell’entrata in vigore di nuovi obblighi tributari. Infatti il temuto obbligo immediato non si è concretizzato, nel breve lasso di tempo dal 13 al 31 dicembre.

Ma in ogni caso  mancava (e manca ancora) un tassello a questo puzzle normativo: l’emanazione di un provvedimento di legge che modifichi quell’esonero del 2017 e stabilisca le modalità operative e la tempistica per il nuovo obbligo.

Intanto dicembre è passato, il 2021 è finito, poi è passato anche gennaio, febbraio ci ha salutato e… di quel provvedimento non c’è ancora notizia.

Quindi possiamo stare tranquilli? Ne riparleremo l’anno prossimo? Chissà… le strade del Fisco sono imprevedibili: un giorno o l’altro l’atteso annuncio potrebbe arrivare, dandoci un paio di mesi di preavviso. Estote parati!

(E se volete qualche consiglio pratico, parlatene col commercialista di fiducia)