Nella prima e nella seconda parte di questa “mini-serie” abbiamo proposto alcune considerazioni sulle probabili conseguenze indotte dallo smart working nella trasformazione degli edifici o di parti di essi, piuttosto che negli ambiti territoriali e nelle intere città. In quest’ultimo articolo ci si propone di considerare  quale impatto lo smart working abbia  nei riguardi della sicurezza aziendale e più nello specifico su quella dei lavoratori interessati.

1.Sicurezza e salute dei lavoratori in smart working – Il quadro normativo di riferimento

Non è questa la sede per una trattazione di specifica valenza normativa dell’argomento in oggetto, ma è necessario richiamare velocemente le norme basilari di riferimento perché la gestione in sicurezza di una qualunque attività lavorativa non è appannaggio di semplici scelte datoriali o di accordi tra le parti, ma è invece e giustamente determinata da un insieme di norme vincolanti, parte delle quali consolidatesi ormai da tempo e parte invece di introduzione relativamente recente, in funzione dell’evoluzione delle modalità e tipologie delle attività lavorative.

La norma principale di riferimento resta sempre il Decreto Legislativo 81/2008 e s.m.i., richiamante disposizioni e prescrizioni che sono conosciute ed ampiamente consolidate anche nei rapporti lavorativi per i quali si prevede l’attività del lavoratore in una collocazione “a distanza”, esterna alla sede aziendale. La norma però fa riferimento ad una specifica condizione lavorativa che viene identificata come “telelavoro” la quale, pur avendo diversi punti di contatto con lo smart working, non va confuso con esso. Quest’ultimo infatti introduce il concetto del “lavoro agile”– nella italica traduzione operativa – che si differenzia notevolmente dal telelavoro fin dalla impostazione filosofica, trattandosi di una tipologia che svincola il lavoratore da orari definiti e da luoghi specifici nei quali svolgere la propria attività: si passa in sostanza dal concetto di “lavoro a orario” a quello di “lavoro ad obiettivo”, con un diverso approccio al controllo effettuato dal datore di lavoro sulle modalità esecutive dell’operato del lavoratore subordinato, con maggior autonomia e responsabilizzazione di quest’ultimo.

La normativa richiedeva un contributo ulteriore per meglio determinare ambiti e confini dello smart working, contributo fornito dalla Legge 81/2017 che riporta “misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. In questa norma gli articoli dal 18 al 23 si occupano espressamente di lavoro agile e l’art. 22 nello specifico di sicurezza sul lavoro, con due commi:

  1. Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro;
  2. Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.

A questo articolo fa riferimento  un importante documento prodotto dall’Inail dal titolo “Informativa sulla salute e sicurezza nel lavoro agile ai sensi dell’art. 22, comma 1, L. 81/2017” nel quale trovano applicazione numerosi concetti pratici ed operativi per la strutturazione in sicurezza del luogo, delle attrezzature, degli arredi, delle modalità operative che il lavoratore dovrebbe osservare per ottemperare correttamente agli obblighi di sicurezza pur operando in sedi differenti da quella propriamente aziendale.

2.Come varia la sicurezza nella sede aziendale per effetto dello smart working 

Nella prima parte di questa breve serie di articoli abbiamo visto come uno degli effetti dello smart working sia stato ed è lo svuotamento parziale ed in alcuni casi molto accentuato della presenza di personale in edifici precedentemente adibiti per la loro quasi totale interezza ad uso uffici. Ciò può riflettersi in due differenti politiche aziendali: A – la scelta di mantenere la base operativa tal quale in attesa di definire, a pandemia terminata ed a ripresa economica generale definitivamente avviata, se l’utilizzo di elevate metrature sia ancora coerente con le necessità dell’azienda oppure no; B – la scelta, magari già attuata, di una drastica riduzione degli spazi aziendali per effetto di un irreversibile utilizzo massiccio dello smart working o per drastiche riduzioni del personale.

Nel primo caso la riduzione degli spazi avrebbe, in termini di sicurezza, l’effetto di ridurre la necessità di un gran numero di addetti alla sicurezza (antincendio, primo soccorso, evacuazione ecc.) di stanza nella sede aziendale, quindi la riduzione delle relative necessità info-formative. Dovrebbero essere ridefiniti gli  spazi comuni e le postazioni di lavoro, e questo avrebbe effetto sia nell’individuazione delle vie d’esodo che nella eventuale nuova dislocazione di dispositivi di sicurezza, pur mantenendo a disposizione spazi per riunioni collegiali ed incontri di team. Dovrebbero venire aggiornati i layout della sicurezza (le planimetrie disposte ai vari piani e livelli degli edifici e riportanti dotazioni di sicurezza, vie d’esodo, uscite di sicurezza, dispositivi di sicurezza e di emergenza), anche in funzione della riduzione dell’affollamento e della relativa variazione in positivo negli esodi del personale presente in caso di emergenza.

Nel secondo caso si dovrebbe provvedere alla nuova valutazione dei rischi nel luogo in cui è stata trasferita la sede aziendale, definendo attentamente le postazioni di lavoro dei singoli operatori, gli eventuali open-spaces, gli spazi comuni, le vie di esodo, le uscite di sicurezza, le posizioni di eventuali idranti e degli estintori come di altri dispositivi antincendio, la strutturazione degli spazi lavorativi in funzione anche dell’illuminazione naturale ed artificiale ecc., tenendo presenti le eventuali necessità di incontri collegiali o di gruppi operativi di settore.  Tutto ciò ovviamente passando da una totale ridefinizione dei layout aziendali.

In entrambi i casi le variazioni suddette richiederebbero una complessiva rivisitazione del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) aziendale, con ampie considerazioni riguardanti anche le attrezzature in uso in azienda e in dotazione ai lavoratori operanti in smart working, le indicazioni per la valutazione dei rischi in caso di lavoro agile extra aziendale (ed in tal senso quanto richiamato nel citato documento dell’Inail fornirebbe indicazioni utili ed essenziali), le necessità info-formative che ne deriverebbero. Altrettanto importante sarebbe la nuova valutazione del rischio stress lavoro-correlato sia rivolto al singolo lavoratore operante in modalità di lavoro agile – di cui parleremo nel relativo paragrafo – sia nei riguardi dei lavoratori operanti in azienda. Il “clima aziendale” non potrebbe infatti che essere fortemente influenzato dalla riduzione del personale operante a stretto contatto nella sede, con differenti percezioni dei livelli di stress, fatica, pressione, influenza gerarchica sia rispetto alla situazione locale pre-pandemica che nei confronti dei singoli lavoratori attivi in smart working all’esterno della sede.

3.La sicurezza per il singolo lavoratore operante in smart working 

Il singolo lavoratore operante in lavoro agile potrebbe essere generalmente attivo presso la propria abitazione, ma anche più o meno saltuariamente presso altre strutture in qualche modo collegate alla propria azienda, o presso spazi in co-working, o anche durante trasferimenti lunghi che consentano comunque di lavorare a bordo dei mezzi di trasporto (pensiamo al treno ed a quanto sia ormai “normale” lavorare sul tavolino con il proprio portatile, ma anche con tablet e smartphone). Tralasciando le situazioni di operatività in itinere o extra sede aziendale (comunque in parte ricadenti nella normativa citata o ad essa riconducibili, pur con differenti approcci ed indicazioni), focalizziamo l’attenzione sulla sicurezza del lavoratore operante da casa in lavoro agile.

Avevamo già trattato nella parte 1 della possibilità quando non necessità di organizzare spazi casalinghi – se non già presenti – in maniera tale da rendere confortevole e , appunto, sicura l’attività dell’operatore. Circa la postazione di lavoro, secondo l’accordo sottoscritto tra le parti il datore di lavoro potrebbe fornire gli arredi essenziali ed il terminale con opzione sulla fornitura di connessione veloce se non già presente, ma spesso e volentieri il lavoratore fa uso di mezzi propri. Le condizioni di base per garantire la sicurezza del lavoratore non cambiano rispetto a quanto indicato nel D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., specificamente nel Titolo VII riguardante i videoterminali: ergonomia della postazione, sicurezza intrinseca delle attrezzature e degli arredi, posizionamento degli stessi in funzione dell’illuminazione naturale, corretta illuminazione artificiale, presenza di sistemi schermanti, microclima adeguato… gli argomenti basilari sono gli stessi che si ritrovano nel DVR aziendale, e non potrebbe essere altrimenti, così come non potrebbe cambiare la necessità della sorveglianza sanitaria per i lavoratori soggetti per numero di ore trascorse davanti al terminale. L’informativa sottoscritta da lavoratore e datore di lavoro (spesso coincidente con il più volte citato documento prodotto dall’INAIL, a volte derivante anche da accordi di settore pubblici o privati) deve comprendere tutte queste indicazioni, e fare riferimento alle informazioni ed alla formazione che il lavoratore deve possedere sia di default (perlomeno quella che deriva dagli obblighi dell’Accordo Stato-Regioni in termini di formazione di base e formazione particolare in funzione della classe di rischio) che per la situazione localizzata determinata dall’operare fuori sede in smart working.

Occorre accertare che siano garantiti livelli corretti di sicurezza, per quanto va notato che in molte situazioni possono insorgere difficoltà anche notevoli in caso per esempio di strutturazione degli spazi in tipologie abitative che non rendono agevole l’esodo in caso di emergenza (e va segnalato che per emergenza il pensiero comune è quasi sempre rivolto all’incendio o al massimo all’intervento dei servizi di pronto soccorso per incidenti o malori, ma si tende a dimenticare che esistono anche altre possibili emergenze non così remote in un Paese come il nostro, interessato da alluvioni o da eventi sismici anche rilevanti). Oppure le svariate situazioni impiantistiche a livello di impianto elettrico, che non sempre e non ovunque sono in grado di garantire la massima sicurezza al lavoratore. O ancora, per esemplificare in modo comprensibile ma con lo scopo di far comprendere la complessità degli argomenti, il rispetto del divieto di fumo in ambienti extra aziendali per ridurre il rischio relativo, anche di tipo passivo.

A tutto questo vanno aggiunti rischi più “subdoli”, perché non sempre chiaramente avvertiti o identificabili come nel caso dei rischi fisici di cui abbiamo fatto cenno. Per esempio, il lavoro fuori sede in assenza di colleghi può essere identificato come “lavoro in solitario” e come tale andrebbe fatto oggetto di specifica valutazione dei rischi. Chi e quando può o deve verificare che il lavoratore stia bene e non abbia accusato un malore (tanto più in una situazione contrattuale “light” tipica del lavoro agile che non ha vincoli netti di orario e di presenza)? Come si organizza il lavoro per evitare che il lavoratore possa effettuare attività o prendere decisioni che ne possano mettere a repentaglio la sicurezza?

Queste e altre domande si fondono con interrogativi che sono poi più propriamente riferiti alla valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato. Il lavoratore che si trova da solo a lungo può correre il rischio – in contraltare all’esaltazione delle proprie capacità di valutazione e realizzazione autonoma dei propri compiti – di veder aumentare il proprio stress (distress, stress “negativo”) proprio perché costretto a prendere decisioni senza poter contare sull’appoggio immediato dei colleghi o sul consiglio di superiori magari costantemente impegnati in videochiamate e call aziendali, quindi virtualmente irraggiungibili. O perché meno capace di altri di gestire in autonomia gli strumenti informativi, il software a disposizione, la connessione alla rete. O ancora, la minore capacità da parte di alcuni di organizzare e gestire il proprio tempo e le attività in funzione degli obiettivi da raggiungere. Tutte analisi e valutazioni che dovranno essere considerate, per monitorare lo “stato di salute complessivo” del lavoratore che ne influenza vieppiù il rendimento operativo.

Alle considerazioni di cui sopra non bisogna dimenticare di aggiungere, inoltre, il differente carico emotivo e psicologico del lavoratore che si attrezza una più o meno comoda postazione di lavoro nella propria abitazione ma non ha magari il modo di renderla funzionalmente separata dal resto degli ambienti e si trova a dover condividere spazi con altri membri della famiglia, magari anziani bisognosi di assistenza, o disabili, o in tenera età. Negli ultimi mesi molti lavoratori in smart working hanno segnalato, là dove la loro situazione abitativa non consentiva separazione netta da promiscuità e contatti con altri membri della famiglia, un notevole problema di incremento di stress dovuto per esempio alla presenza dei propri figli in età scolare confinati a casa dalla DaD (Didattica a Distanza) e conseguenti difficoltà nella valenza e continuità del proprio livello di attenzione, maggior stanchezza, minor capacità di risposta alle richieste aziendali. Per non parlare proprio dei lavoratori del settore scolastico, che hanno in queste problematiche una delle maggiori fonti di rischio stress lavoro-correlato.

La sicurezza pertanto, pur sulla base delle semplici e ridotte valutazioni che sono state riportate in questo articolo che a propria volta voleva essere smart e non certo specialistico, risulta essere un elemento determinante ancora da definire compiutamente e da valutare attentamente nelle varie aziende e per i singoli operatori, aspettando che l’evoluzione del lavoro post pandemia e post (sperata) ripresa economica fornisca elementi di studio ed indicazioni sul futuro dello smart working, che potrà decollare definitivamente (soprattutto se in concomitanza con una più volte annunciata e mai compiutamente realizzata “rivoluzione digitale nazionale”) o potrà subire una contrazione, con un parziale ritorno al lavoro in presenza.

Ai posteri questa e ben più ardue sentenze.

6 aprile 2021                                                                                                                                                                     Paolo Mercuri, architetto

Le professionalità presenti in Resolvo potranno essere di supporto nelle varie situazioni sopra descritte, direttamente o tramite la propria rete di collaboratori esterni al network, in termini di consulenza a livello di valutazione dei rischi, assunzione ruolo RSPP, redazione DVR, realizzazione di layout aziendali ma anche legale fiscale e tributaria ove necessario.