Nel post precedente abbiamo sviluppato una serie di considerazioni sulle conseguenze che lo smart working sta portando e presumibilmente porterà nella trasformazione di singoli edifici o di parti di essi, analizzando le variazioni del mercato immobiliare secondo alcuni possibili scenari. In questa seconda parte allarghiamo lo sguardo agli ambiti territoriali ed alle intere città, cercando di comprendere le variazioni in atto e provando ad ipotizzare quelle in divenire.

Quartieri, zone territoriali, città  – Le trasformazioni dei luoghi, della mobilità, della socialità

Interi complessi edificati ad uso ufficio che smettono di essere utilizzati e nel tempo variano la propria destinazione d’uso comportano una serie di modificazioni di forte impatto locale sulla vita quotidiana dell’ambito territoriale ristretto sui quali esercitano la loro influenza, sia in termini di gestione delle risorse (utilizzo di corrente elettrica ed acqua potabile, carico sull’impianto fognario ecc.) che soprattutto di viabilità e di rapporti sociali e commerciali con gli spazi pubblici e gli esercizi commerciali presenti in un ridotto/medio raggio intorno al complesso o al fabbricato interessato.

In particolare – perlomeno fino al momento della ridefinizione degli spazi o alla loro modifica per altri utilizzi – è facilmente presumibile che il traffico veicolare locale risulti fortemente ridotto, così come si riduca o comunque modifichi sostanzialmente la necessità di parcheggi, con il possibile effetto di migliorare la circolazione e ridurre la congestione degli spazi a parcheggio nel ristretto ambito locale, oltre che modificando i picchi di traffico veicolare rispetto alle situazioni prepandemiche, non essendovi più l’alto afflusso di personale in ingresso al mattino ed in uscita al pomeriggio/sera.

Altre conseguenze notevoli impatteranno sul tessuto commerciale e della somministrazione di cibi e bevande della zona d’ambito. Molti bar, ristoranti e pizzerie che prima contavano su una più o meno cospicua quota di fatturato generata dal flusso di impiegati che usciva a consumare bevande o pranzare fuori, oppure che ordinava le consumazioni direttamente dall’ufficio, subiranno un calo quando non un azzeramento di quella quota.

Questo potrebbe avere conseguenze devastanti per molti operatori di un settore nel quale le continue e prolungate restrizioni operative causate dal tentativo di arginare la diffusione della pandemia da COVID-19 hanno creato una labilità e fragilità sistemica non compensata dai ristori economici né sostenuta da interventi di più ampio respiro.

Lo stesso discorso si può fare per tutti quei piccoli esercizi di vicinato o negozi di zona che in qualche modo potevano usufruire di un ritorno economico determinato dalle persone che approfittavano della pausa pranzo o del tempo consentito all’uscita dal lavoro prima del rientro a casa per fare la spesa- magari approfittando della possibile spendibilità dei ticket forniti dall’azienda ove non usati in qualità di buoni pasto – o semplicemente per fare shopping. Anche in questo caso, i mancati incassi andrebbero ad aggiungersi alle perdite strutturali e ormai congenite del piccolo commercio zonale determinando peggioramenti delle situazioni debitorie e costringendo in molti casi alla chiusura o alla cessione dell’attività.

Ciò che si è rappresentato vale in ambito locale, ma va visto come generalizzato nell’intero territorio di quartiere piuttosto che cittadino. Se è vero in realtà che chi deve fare la spesa la andrà comunque a fare – pur probabilmente riducendo le uscite e razionalizzando gli acquisti – presso i negozi e mercati rionali ubicati vicino alla propria abitazione nella quale è stata trasferita la postazione di lavoro per operare in smart working, è altrettanto vero che ben difficilmente chi lavora in casa avvertirà l’impulso di dover uscire a prendere un caffè o fare colazione o pranzare fuori, con la conseguenza che i circostanti pubblici esercizi addetti alla ristorazione ed alla somministrazione di cibi e bevande non otterranno alcun vantaggio significativo dalla presenza in zona degli impiegati operanti da casa. Ci sarà il vantaggio della riduzione del traffico veicolare, non essendo necessario muoversi per raggiungere il posto di lavoro, ma anche un possibile congestionamento degli spazi pubblici adibiti a parcheggio lungo piazze e vie, restando stazionanti a lungo i veicoli degli impiegati non usufruenti di singole autorimesse.

Sul territorio comunale, pertanto, diverrà probabile la diffusione a macchia di leopardo di “vuoti” nei piani terreni delle cortine edilizie di facciata dovuti alle saracinesche abbassate degli esercizi commerciali che avranno cessato temporaneamente o definitivamente l’attività, vuoti che avranno un effetto negativo non solamente a livello di economia locale – e prima di tutto in ambito famigliare per gli esercenti, i propri dipendenti e chi vive con essi – ma anche di presidio del territorio, di percezione dello spazio vissuto, di centralità dello spazio pubblico nella vita dei singoli e delle comunità.

Intere vie con molte meno luci, quando accese provenienti dagli esercizi rimasti stoicamente aperti malgrado la pandemia ed i suoi devastanti effetti, potranno avere forti influssi sulla micro-criminalità di zona e soprattutto sulla percezione psicologica di quella porzione di città da parte degli abitanti locali, rarefacendone le uscite e generando così una spirale perversa che ridurrebbe ulteriormente le possibilità di ripresa a breve termine del tessuto commerciale e sociale dell’area.

La socialità, un tema mai abbastanza esplorato per capirne a sufficienza le problematiche dopo la massiccia introduzione dello smart working.

In primo luogo, la riduzione delle occasioni di incontro con altre persone non strettamente appartenenti al proprio ambito famigliare e domestico. Certo, gli incontri in persona sono stati sostituiti da meeting calls, videoconferenze, videochiamate e quant’altro la tecnologia digitale e le telecomunicazioni hanno – per fortuna – potuto e saputo mettere a disposizione. Ma non credo ci sia qualcuno che possa affermare che una riunione virtuale di persone sia migliore di una riunione fisica, se non per la comodità di poterla fare dal salotto di casa senza doversi spostare per raggiungere il luogo dell’incontro.

Una riunione in presenza genera una circolazione di energia ( solitamente positiva) legata alla percezione della presenza degli altri ed alla intercomunicabilità tra i membri presenti ben superiore alla parola lasciata a turno ad un consesso parzialmente visibile via webcam, con tutta quella comunicazione non verbale (sguardi, ammicamenti, gestualità, posture, movimenti del corpo) che è a sua volta veicolo comunicativo e supporto alla comprensione degli effetti del parlato. Si migliorano i tempi dedicati, si riducono le qualità delle comunicazioni umane raffreddandole o inibendole: non un bene, nella gestione dei rapporti.

L’essere umano è un animale sociale, ridurre i rapporti sociali o alterarne le capacità di sviluppo ha conseguenze negative. Interi uffici deserti significa azzeramento o riduzione all’essenza di rapporti interpersonali, comunicazioni, amicizie, amori. Uscire a pranzo insieme è veicolo sociale ma anche supporto ai rapporti di lavoro: a tavola si finisce spesso per parlare di lavoro, in una estensione dell’attività che può avere benevoli influssi sia nella gestione dei rapporti tra colleghi che nell’ampliamento di un brainstorming embrionale. E per tacere di tutto l’universo dei rapporti stravolti o cancellati per gli studenti delle scuole superiori e delle università con una preoccupante ricaduta in termini di scissura tra il prima ed il dopo pandemia, quando si dovrà ricostruire un mondo di rapporti tenuto congelato… ma questo è argomento che andrebbe trattato diffusamente in altra sede, anche in funzione dell’utilizzo degli strumenti informatici e comunicativi, per mezzo dei quali professori e docenti hanno avuto modo di applicare la DAD (Didattica a Distanza) che ha costituito un modo nuovo di lavorare, spesso proprio in smart working, con tutta una serie di opportunità e di problematiche ancora da esplorare nei loro ambiti più settoriali e di interconnessione.

Di converso, il rinchiudersi in casa pur mantenendo i rapporti mediante gli strumenti informatici e di comunicazione può raffreddare la capacità di socializzare e finire per creare situazioni di peggioramento comportamentale o di stati depressivi latenti, soprattutto in quelle situazioni di per sé stesse esplosive già presenti in famiglie nelle quali vi siano disabilità, anziani non autosufficienti, bambini in tenera età, coniugi in crisi.

Quali i possibili scenari, a fronte di tutto questo?

E evidente che possibili correttivi sistemici, robusti e di rapida applicabilità ad una situazione così fortemente alterata nel suo complesso non possono venire dai singoli operatori o da singole associazioni di settore, ma devono discendere da scelte politiche ed economiche – oltre che organizzative – impostate dalle amministrazioni locali e nazionali, ponendo attenzione a chi gestisce quotidianamente le realtà dei vari territori. Si potrà intervenire a livello urbanistico modificando localmente e parzialmente i Piani Regolatori individuando aree di espansione commerciale; valutando zone del tessuto consolidato da riqualificare non solo con interventi fisici ma con modifiche alle norme tecnico-attuative per ridurre iter e carico burocratico in caso di variazioni delle destinazioni d’uso; implementando varianti parziali ai Piani senza attendere che siano i cittadini e le categorie a doverli richiedere, ma anticipando e pilotando i possibili sviluppi futuri.

E certamente immettendo risorse economiche mirate non solo a ristorare le attività in crisi ma a far loro riprendere un ritmo regolare, consentendo inoltre a nuove professionalità di andare ad occupare con rapidità e semplicità esecutiva gli spazi lasciati vacanti da chi, per varie ragioni, non ce l’ha fatta.

A livello commerciale si potranno pensare riduzioni o annullamenti – come sta succedendo in periodo di lockdown, anche parziale – dei costi di occupazione di suolo pubblico divenuti strutturali e continuativi, invogliando così gli operatori della ristorazione a tenere aperte o aprire ex-novo le attività sul territorio con prospettive temporali di più ampia portata. Si potranno quindi modificare i piani commerciali per realizzare interi assi viari che possano coinvolgere i cittadini in percorsi non solo legati allo shopping.

Il traffico locale potrà essere riorganizzato sia nella determinazione degli assi viari che della localizzazione dei parcheggi in funzione delle rinnovate esigenze, ma soprattutto potranno essere meglio valutate le dinamiche degli spostamenti sui mezzi pubblici riorganizzando linee, orari, numero di mezzi circolanti.

Ma cosa succederà agli edifici ad uso ufficio ed alle singole abitazioni divenute luoghi di lavoro? Si può ipotizzare un’ondata di parziale riflusso con un ritorno in forma ridotta alle situazioni di lavoro in compresenza, quando le aziende in parte scopriranno che i lavoratori lasciati da soli – pur migliorando il proprio approccio mentale all’attività lavorativa, passata con lo smart working da “lavoro a tempo” a “lavoro ad obbiettivo” – tenderanno a peggiorare il proprio apporto in termini sociali nel lavoro di team, con una maggior tendenza alla chiusura in sé stessi ed all’isolazionismo, riducendo la capacità di rapportarsi con gli altri. Non senza conseguenze sul rendimento.

Si tornerà pian piano ad organizzare riunioni in presenza, anche in spazi esterni ai fabbricati ad uso ufficio là dove divenuti troppo ridotti per ospitarli (vedere quanto indicato al riguardo nella “Parte 1”). Ma si dovrà contemporaneamente implementare l’aiuto pubblico e quello aziendale per aiutare quei lavoratori che manifestino disagio psicologico dovuto alle nuove modalità di lavoro sommate magari a situazioni personali di stress legate a problemi famigliari o economici (minor introito dal lavoro e conseguente incremento del debito, mutate condizioni di salute, lutti legati alla pandemia ecc.).

Essenziale sarà pertanto l’apporto di operatori dei servizi di assistenza psicologica pubblica e degli psicologi del lavoro, categoria da tenere in grande considerazione per il contenimento dello stress lavoro-correlato, come accenneremo nella terza ed ultima parte.

14 gennaio 2021, Paolo Mercuri, architetto

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